"Maggio 1883" L'Ora del Mondo
Presiede Sua Eminenza Mons. Giuseppe Formisano - Vescovo di Nola
Con squisite espressioni che ripetono il lirismo dei solenni salmi biblici, B. Longo, nel programma delle feste del 1883, annunciava la sua novella preghiera alla Madonna.
"Alleluia! O Fratelli: Leviamo oggi un cantico di festa. Cantiamo oggi più giuliva la dolce canzone di amore alla Vergine".
È l’atto di amore alla SS. Vergine di Pompei, il cantico supplice da recitarsi il giorno 8 di maggio nell’ora di mezzodì. "Una preghiera comune, in Atto di Amore che raccogliesse quel popolo nascente (i primi pompeiani) sotto il vessillo di Maria e perciò pregasse di una stessa preghiera".
In questi propositi affonda e prende vita la radice dell’Atto di Amore, la preghiera primigenia, il palinsesto, pressappoco il canovaccio della Supplica.
L’Atto di Amore traduceva la fiamma che divampa nel cuore di Bartolo Longo e che si alimentava nell’ardore di una fede che investiva e permeava tutto il suo essere.
Nell’ora di mezzodì, oltre a dodicimila associati al Tempio di Pompei levarono unanimi la preghiera alla Vergine.
Era l’otto di maggio del 1883. Innumerevoli devoti, pur lontani, alla stessa ora, prostrati davanti all’immagine della Madonna, recitando la medesima Preghiera, si unirono al coro che Don Bartolo, con fervore acceso, aveva sollecitato intonando l’inno alla Vergine. Quell’Atto di Amore concepito e dettato come preghiera di contrizione, cantico di lode, invocazione supplice ricca di pietà profonda.
Dall’Unità Cattolica del 17 maggio 1883 n° 115, stralciamo solo un breve significativo passaggio della relazione stesa da B. Longo a commento della festa: "Ma la festa della prima campana, che ebbe luogo ieri l’altro, ha superato le nostre aspettative ed il più vivo entusiasmo che aveva già suscitato la semplice lettura del programma.
*La Festa dei Signori Forestieri - (Prima Parte)
Folla di rappresentanti della nobiltà napoletana e generosi benefattori alle celebrazioni dell'otto maggio 1883
Ambo i novelli Sacri Bronzi, Maria Rosaria e Caterina da Siena, si troveranno sollevate da terra a petto d’uomo sotto la Cupola per essere lavate dalle mani del Vescovo con l’Acqua Lustrale e consacrate con l’Olio Santo (1). Lo stesso Sacro Principe sarà assistito dai Canonici di Nola e dai Cantori del suo Seminario. Quindici elette Signore della più alta Nobiltà cattolica Napoletana (2), rappresentanti il numero dei Misteri del Rosario, saranno le Nobili Comari (3) di Maria Rosaria e di Caterina da Siena. Tra esse si noverano le prime Benefattrici del novello Santuario, la Marchesa Filiasi di Somma, la Marchesa Ruffo di Guidomandri, la Duchessa Albertini Sozzi-Carafa, la Duchessa di Laurenzana, la Sig.na Giovannina Muti Sabato, la Marchesa di Latiano, la Contessa di Balsorano Doria, la Duchessa di Paganica, la Principessa di Santo Mauro Saluzzo Caracciolo di Forino, la Baronessa Compagna, la Baronessa di Castro de Rosa, la Duchessa d’Eboli, la Sig.ra Elena Buonocore Giusso, la Signorina Giuditta Cattaneo dei Principi di S. Nicandro, la Marchesa Clementina Imperiali Volpicelli, la Marchesa Tommasi Giovanna di Somma, la Marchesa Torre Angela Tommasi, la Marchesa Imperiali Teresa Tommasi, la signora Anna Narici Scognamiglio, la Marchesa di Gallo Filomena Doria, la Principessa di Belmonte, la Principessa de Luna d’Aragona, la principessa di Cassero.
Compiuto che sarà il solenne Battesimo, immantinentia vista di tutti i figli del Rosario in Chiesa congregati, si eseguirà l’ascensione dei Sacri Bronzi, i quali sollevandosi insino al centro della Cupola, di là passeranno ad esser collocati nel piccolo provvisorio Campanile (4). E mentre che Maria Rosaria si va sollevando per giungere alla sommità del Tempio, verrà salutata la Regina del Cielo con il canto della Salve Regina in duetto dal noto e pio Tenore signor Francesco Caracciolo e dall’egregio Basso signor Francesco Capponi, i quali con tutto il trasporto di una tenera devozione a Maria si son presentati gratuitamente, ponendo la banda ogni altro loro ufficio. Siccome anche gentilmente e gratuitamente si presteranno ad eseguire la musica in Chiesa i signori dilettanti Achille Talamo (Violoncello), S. Festa (5) (Armonium) ed il Maestro Alfonso Amodio. Breve ed affettuoso Sermone sarà detto dal chiarissimo oratore napoletano Rev. Sac. D. Errico Marano (6) del Terz’Ordine di S. Domenico. Quindi il Santo Vescovo di Nola intonando l’Inno di lode all’Altissimo, armonizzando il cantico degli Angeli con il pietoso canto dei fedeli, impartirà solennemente la benedizione con il SS. Sacramento a tutti gli associati della nuova Chiesa presenti e lontani. Ed in quell’istante solenne, in cui il Padre e Redentore degli uomini benedirà i suoi figli che edificano la casa di sua Madre, Maria Rosaria per la prima volta scioglierà ai venti la sua santa voce, per annunziare al popolo Cristiano i novelli trionfi della Regina delle Vittorie: la quale su quella terra degl’infedeli e dei demoni ha formato una nuova famiglia, una santa Società, dove il Dio vero è il capo, la madre di Dio diventa Madre dei peccatori, e uomini e donne di ogni classe e di ogni paese si raccolgono colà sotto il manto della Madre di Misericordia. Sicché il primo suono di Maria Rosaria sarà una voce di adorazione a Dio, di benedizione al redentore degli uomini, di nunzio felice di grazie e di benedizioni che dal Cielo pioveranno in quel giorno su tutti i figli della Chiesa di Pompei. E quell’ora benedetta sarà appunto il mezzodì degli 8 di Maggio del 1883, quell’ora in cui tutto il Mondo cattolico al suono delle Campane di tutte le Chiese d’una sola voce saluta Maria piena di grazia e Madre di Dio; ed in quell’ora in Pompei per la prima volta la squilla di Maria Rosaria echeggerà per il muto Anfiteatro e per la deserta Città pagana; ed il sonoro suo fremito scuoterà i cuori più duri, e trarrà lacrime di compunzione e di amore per la bella Sovrana degli Angeli, invitando ciascun fedele al dolce suono di Gabriello, Ave Maria. E tutti i figli del Rosario, presenti o assenti, vicini o lontani, tutti in quell’ora saluteranno la loro tenera Madre, la loro cara Regina con un fremito di venerazione, con un palpito d’amore.
Note
(1) La riforma liturgica, attuata dal Concilio Vaticano II, ha disposto che i sacri riti siano espressi più chiaramente al fine di facilitare la comprensione al popolo cristiano, consigliando di dare preferenza alla Parola contenuta nei Sacri Testi più che ai segni, spesso di non facile interpretazione. Pertanto lo svolgimento del rito di benedizione delle campane, più complesso una volta, ma così suggestivo, è attualmente snellito. Non necessariamente il Vescovo in qualità di ministro, ma un sacerdote che, dopo aver tenuto l’omelia per l’occasione, invita la comunità ecclesiale alla preghiera ed alla meditazione; indi, aspersa la campana con l’acqua benedetta la incensa ed il rito è così compiuto. Un breve cenno sul vecchio rito. La cerimonia si apriva con il canto dei sette salmi penitenziali.
La chiesa tutta preparata a festa, ornata con fiori e tralci di foglie verdi intrecciate a festoni; il Vescovo ed il Clero vestivano dei paramenti più belli, intonavano i canti e, negli intervalli, le preghiere in coro unanime con i fedeli. Il rito aveva inizio con la benedizione dell’acqua già preparata in un capace catino sistemata nei pressi della campana. Il Vescovo, servendosi di un fascetto di rami freschi di mirto intinti nell’acqua benedetta, lustrava tutta la campana all’esterno ed all’interno quasi a volerla liberare da ogni scoria di impurità. Quindi con il Sacro Crisma (olio e balsamo benedetti), tracciava sull’esterno della campana sette croci ad evocare il ricordo dei sette doni dello Spirito Santo. Nell’interno, ancora quattro croci, a voler significare i quattro punti cardinali in direzione dei quali la campana avrebbe fatto sentire la voce di Dio. Veniva quindi collocato sotto la campana un braciere con carboni accesi, simbolo della fede ardente del popolo di Dio; il Vescovo su quel fuoco bruciava l’incenso, la scorza della timiana, lo stesso albero che dà l’incenso, la mirra. Il fumo profumato dei preziosi aromi avvolgeva la campana simbolicamente purificandola.
Un canto di ringraziamento e di gloria al Signore ed alcuni solenni rintocchi della campana benedetta concludevano il suggestivo rito.
(2) “Per esattezza storica, però, ho da confessare che non tutta l’aristocrazia napoletana ci aprisse le porte e ci facesse oneste e liete accoglienze. Anzi, talvolta, dopo essere tornati due o tre volte a scendere e salire le marmoree scale, ci convenne sopportare qualche amara conclusione. Nondimeno io sento il dovere di ringraziare il generale il patriziato napoletano, perché sovrabbondò di fiducia e di carità in un’opera che allora era affatto oscura, promossa da uomini oscuri, e di oscuri ed incerti risultamenti.
Ed ecco come, certo per consiglio divino, la nobiltà napoletana venisse eletta dalla regina del Cielo a concorrere ai primordii del Santuario di Pompei” (B. Longo).
(3) B. Longo, invitando le quindici pie nobildonne napoletane a fungere da madrine (comari), intendeva esternare un segno della sua profonda gratitudine verso quelle signore che avevano sostenuto ed ancora sostenevano, con ogni mezzo, la nascente Opera Pompeiana.
(4) “Ho ricevuto dal signor Bartolo Longo la somma di lire 196 e sono l’importo dei lavori eseguiti per costruire il provvisorio campanile della Chiesa del SS. Rosario a Valle di Pompei, giusta misura.
Valle, addì 31 marzo 1883. Firmato Vincenzo Accardi – (da Scafati).
A margine è segnato, con altra grafia: lire 8 al metro cubo.
Nel 1934, a seguito dei lavori di ampliamento e ristrutturazione dell’interno Edificio Sacro, il campaniletto, già non più utilizzato (l’inaugurazione dell’attuale Monumentale Campanile risale al 1925), dovette essere demolito. Esso sorgeva sul fianco orientale del Tempio, pressappoco all’altezza dell’attuale cappella dedicata a san Giuseppe.
(5) Negli scritti del Beato e tra le carte conservate nell’Archivio, non vi è alcuna notizia circa questi artisti che gratuitamente, “ponendo da banda ogni altro loro ufficio” intervennero alla festa e prestarono la loro opera. Solo un’ipotesi: quel dilettante che suonò l’armonium, (Salvatore Festa), potrebbe verosimilmente essere lo stampatore napoletano che, insieme al fratello Andrea, gestiva in Napoli, alla via S. Biagio dei Librai n° 102, una tipografia libraria specializzata in lavori di soggetto prevalentemente religioso. Fin dai primordi dell’Opera Pompeiana, B. Longo si rivolse ad essi, amici e devoti, per la stampa di tutto il materiale necessario alla propaganda della Nuova Chiesa del Rosario. “La prima volta che apparve un libro intorno al Santuario di Pompei fu nel gennaio 1879. Lo scrissi io stesso ed a mie spese, vide la luce in Napoli, per tipi di Andrea e Salvatore Festa, in un volumetto da 100 pagine in 8°” (B. Longo). In questa stessa tipografia (cita per sommi capi), furono stampati: volantini di propaganda, opuscoli di preghiere, gli inviti per le grandi feste, i programmi delle feste, una delle prime immagini in litografia del quadro della vergine disegnata da Gennaro Amato, i primi otto numeri (270 pagine) del Periodico “Il Rosario e la Nuova Pompeo”, dal 7 marzo fino al 7 agosto 1884, anno in cui cessa il rapporto di lavoro con i fratelli Festa. Nell’agosto del 1884, B. Longo, impianta la tipografia del SS Rosario in Pompei, stamperà tutto in proprio.
La tipografia, più tardi, sarà anche scuola per i figli dei carcerati; da essi usciranno capolavori di stampa e maestri dell’arte tipografica.
(6) Mons. Enrico Marano (1843-1928), passa alla storia come una delle grandi figure che composero il Cenacolo Napoletano di Padre Ludovico da Casoria. Passati i primi anni della sua giovinezza spesi nell’insegnamento presso il celebre collegio della Carità a Napoli, lasciò la scuola per dedicarsi alla predicazione rivelandosi in breve tempo oratore eloquente ed originalissimo. B. Longo lo aveva appena ascoltato a Napoli e ne fu colpito al punto da volerlo a Valle di Pompei, in occasione della solenne benedizione della prima campana. Da quella data, 8 maggio 1883, per 35 anni, i fedeli, in ogni ricorrenza di rilievo, ascoltarono sempre la sua voce. Mons. Marano resta, nella storia del Santuario, con il glorioso titolo di “primo oratore della Madonna di Pompei”. (Autore: Nicola Avellino)
*La Festa dei Signori Forestieri - (Seconda Parte)
Il Beato Bartolo Longo volle legare le sorti del nascente Santuario alla protezione dell’arcangelo Michele. Per questo motivo scelse l’otto di maggio come il giorno della grande festa pompeiana
Di che il giorno 8 Maggio, sotto la custodia del Principe degli Angeli S. Michele (1), Protettore del novello Tempio, sarà assai memorabile ai fratelli e alle sorelle di Pompei. Esso è scritto nel Cielo nel Libro dei predestinati alla vita, poiché ricorda quel giorno in cui ebbero cominciamento i trionfi della Regina delle Vittorie sulla terra dei Gentili ed il novello Santuario delle sue Misericordie. Il sole meridiano degli 8 maggio del 1876 salutò nella nuda e silenziosa campagna di Pompei pochi Terziari Domenicani ed un drappello di eletti Signori e Signore Napoletane, che facevano ala al Principe di Santa Chiesa, confortati solo dalla fede e dall’amore in Dio, ma giammai dalla speranza (che sarebbe apparsa follia) di vedere con gli occhi propri elevarsi e compiersi su quella piccola Pietra, su quella vile zolla di terra, un gran Tempio al Re dei re al Signore dei Dominanti (2).
Al volgere di sette anni (numero biblico, profetico ed indicatore di grazie) il sole meridiano degli 8 Maggio del 1883 irradierà la fronte festiva di presso a Trentamila Fratelli e Sorelle (3) sparsi in Italia, nelle Spagne, in Inghilterra, in Austria, in Polonia, e fin nelle Indie e nelle Americhe; e meglio che Duemila Terziari Domenicani, i quali tutti d’un sol cuore e d’un anima sola concorrono ad edificare il Trono della loro Madre e Regina, dove da sette anni continui diffonde le sue grazie ai gementi figliuolo di Eva
(Bartolo Longo)
Note
(1) La devozione di Bartolo Longo per l’Arcangelo S. Michele fu, fin dai primordi dell’Opera Pompeiana, sentita e profondissima. Di come sia nata in Lui tanta venerazione ed in qual modo sia cresciuta e maturata, conviene fare un breve cenno; nel contempo sarà anche necessario fornire qualche altra singolare notizia di indole storica al fine di consentire una più esatta comprensione degli eventi.
Curatore dei beni della Contessa De Fusco, ai primi di ottobre dell’anno 1872, Bartolo Longo da solo, venne per la prima volta a Valle di Pompei; era stato incaricato di riscuotere i canoni dai coloni che avevano in fitto l’estesa masseria di circa cinquantaquattro moggi di terra posseduti dalla famiglia De Fusco.
L’anno successivo, sempre nell’ottobre, insieme con la Contessa e con tutta la sua famiglia, Bartolo Longo ritornò a Valle di Pompei per trascorrervi un breve periodo di riposo.
Presero alloggio nella Taverna di Valle, un tempo umile ricovero e posto di ristoro per i viandanti che si recavano nelle Calabrie. Era l’unica ed antichissima casa posta al centro di una notevole estensione di terra ubicata all’estremo limite della Provincia di Napoli. La Taverna di Valle era composta da un piano terrneo di cinque vani, (l’antico ricovero per i viandanti) e da tre camere di più recente costruzione situate al piano superiore.
“Erano le 10 del mattino del 15 novembre 1875, il Vescovo di Nola, Mons. Giuseppe Formisano, affacciatosi alla finestra (lato nord) della stanza di mezzo che guardava la vecchia e cadente Chiesa Parrocchiale del SS: Salvatore, accennando con la mano al campo contiguo alla Chiesetta, in tono profetico esclamò: “Quello è il luogo, dove deve essere edificato un tempio in Pompei” (B. L.).
Era la prima pietra morale del Santuario, tutto quello che seguì in ossequio ed ottemperanza alla volontà del Vescovo, è un passo di storia conosciuto in tutto il mondo.
Al lato opposto, esattamente rivolto a sud, le altre finestre della Taverna di Valle davano su di un vasto giardino anch’esso di proprietà della Contessa De Fusco e, più in là, fino a perdita d’occhio, si estendeva la Valle chiusa dalla maestosa catena dei Monti Lattari. Esaurita la breve disgressione topografica, torniamo al tema e leggiamo quanto nel 1888 scrisse Bartolo Longo in proposito.
“Ogni giorno, nell’aprire la finestra della nostra camera in Valle di Pompei, l’occhio si posa sui monti di rimpetto, che formano un’immensa barriera all’oriente di Castellammare. Il nostro sguardo si affissa tosto sulla sommità di quel vertice a tre punte che coronano il monte Gauro.
Apparve un dì l’Arcangelo S. Michele al Vescovo di Castellammare, San Catello, e gli impose di edificargli un Tempio nel luogo che gli indicò con una fiamma.
Il Santo Vescovo si accinse all’Opera: ma, a seguito di atroci calunnie, mossegli contro dai suoi stessi concittadini, venne destituito dalla sede episcopale, chiamato a Roma, e chiuso colà in carcere. Se non che il suo Patrono S. Michele, e il suo fedele amico, S. Antonino Arcivescovo di Sorrento, lo liberarono. S. Catello fece suo ritorno alla sede di Castellammare, accolto trionfalmente da tutto il popolo, il quale, guidato dal santo Arcivescovo di Sorrento, Antonino, gli andò incontro, acclamandolo, nella terra di Pompei…
Dal primo giorno che noi leggemmo nel Divino Uffizio codesta apparizione, disponemmo in cuor nostro che il Santuario della Vergine di Pompei e tutte le opere di pietà e di beneficenza che saremmo per fondare qui, le avremmo poste sotto la protezione del Principe degli Angeli, S. Michele, il quale sin dai primi secoli della Chiesa mostrò visibilmente di volere essere onorato in questi luoghi. E fin da allora disponemmo il tutto in cuor nostro di erigergli un altare in questo Santuario. Avevamo ben bisogno di una protezione del Capo di tutti gli Angeli contro il Capo di tutti i diavoli, che non cessa mai di far guerra alla Donna, onde ebbe schiacciato il capo.
Per gloria di S. Michele noi confessiamo che non vi è privilegio, non vi è conflitto, in cui, sua mercé, quest’Opera di Pompei non sia risultata vittoriosa.
E però noi sempre abbiamo posto studio a fare che la principale festa in Valle di Pompei accadesse nel giorno dedicato alla festa dell’eccelso fra gli Angeli. (La festa dell’Arcangelo Michele cadeva l’8 maggio, giorno della sua apparizione sul monte Gargano. Questa coincidenza delle apparizioni – Monte Gargano e Monte Gauro - può aver indotto il Beato, al di là della festa liturgica, a fissare l’8 maggio come il giorno provvidenziale per ogni sua iniziativa n.d.r.).
Di fatto, oltre alla originale funzione della prima Pietra di fondazione del Santuario, che avvenne negli 8 di Maggio del 1876, ordinammo in altro anno, anche per il giorno 8 Maggio, il Battesimo della Prima Campana di questo Tempio. E nel giorno 8 Maggio fu inaugurato il primo Orologio pubblico per segnare le ore ai contadini della Valle.
E nel giorno 8 di Maggio di altro anno presentammo ai devoti completa la Cupola del Tempio.
E nel giorno 8 di Maggio di altro anno facemmo trovare allungato il Tempio dalla parte superiore, e venne benedetta la prima pietra di fondamento all’altare Maggiore.
E nel giorno 8 Maggio di altro anno venne solennemente consacrato l’Altare Maggiore, inaugurato il gran Monumento in onore della regina delle Vittorie, ed Incoronata la vergine con il diadema di brillanti e di zaffiri…
Michele, il primo Custode di Colei, che fi il Santuario del Dio vivente sulla terra, venne designato da Dio a Custode e difensore di tutti i Santuari della terra dedicati all’onore di Maria.
Ecco svelata la ragione perché noi fin dalla prima ora scegliemmo così potentissimo Principe a guardia di questo Tempio e delle opere nostre.
Ed il fortissimo e bellissimo Principe, benigno sempre, ci ha fatto provare più volte il beneficio della sua protezione, eludendo gli sforzi di Satana a danno di questa Chiesa”.
(2) Bartolo Longo ricorda la Benedizione della prima pietra del Tempio.
(3) Sono i fratelli e le sorelle associati alla Confraternita del Rosario. “Si voleva rendere stabile la devozione del Rosario e non altro espediente si trovava che erigersi una Confraternita che sopperisse a tutti i bisogni di quel popolo nascente.
Val quanto dire, raccogliergli sotto il Vessillo di Maria, perché pregassero di una stessa e comune preghiera, eccitarli a dare pietoso accompagnamento alle salme dei loro cari estinti, e suffragi a quelle anime, e pietosa assistenza e medicina ai fratelli infermi; dare infine maritaggi alle donzelle povere” (B.L.). Per attuare tale disegno, B. Longo pregò padre Radente di intercedere presso il Generale dell’Ordine di Roma affinché concedesse il necessario prescritto diploma di erezione alla Confraternita. Frattanto non indugiava; con entusiasmo prese a girare per le campagne presso i contadini illustrando loro il suo programma e chiedendo nel contempo le adesioni; similmente, la Contessa De Fusco, cominciò a visitare le dame di sua conoscenza del patriziato napoletano raccogliendo tra loro numerosi consensi.
Il caldo interessamento di padre Radente diede fruttuosi e consolanti risultati. Il 12 dicembre del 1875, il Maestro Generale dell’Ordine dei Predicatori, Fra Giuseppe Maria Sanvito, firmava a Roma il diploma di istituzione della Confraternita.
Il 13 febbraio dell’anno 1876, domenica, a tutti gli iscritti raccolti nella Vecchia Parrocchia, Padre radente, lesse il Diploma del Padre Generale dell’Ordino e quindi, a voce di popolo, solennemente dichiarò eretta la Confraternita del Rosario in Valle di Pompei. Il sacerdote R. Don Gennaro Federico fi acclamato Rettore. La solenne cerimonia fu occasione propizia per aggregare al Terz’Ordine di San Domenico il Parroco, Don Giovanni Cirillo, il sacerdote Don Gennaro Federico ed altre undici persone abitanti della Valle.
La Madonna premiò le fatiche e lo zelo di B. Longo donandogli “Il massimo dei contenti”; in pochi anni la Confraternita del Rosario si diramò non solo in Italia, ma in Europa ed in tutto il mondo. Nel 1923 infatti, scrive B. Longo, la Società del SS. Rosario di Valle di Pompei contava più di cinque milioni di aggregati fra cui Vescovi e Cardinali, Principi, Regine, il Papa Leone XIII. (Autore: Nicola Avellino)
*La Festa dei Signori Forestieri - (Terza Parte)
“L’atto di amore a Maria, composto da B. Longo per la benedizione della prima campana del Santuario, si rivelerà sin dal primo momento come una preghiera fortemente aggregante divenendo così il motivo ispiratore della Supplica.
Avventurati figliuoli del Rosario! Dilatiamo il nostro cuore alle più dolci speranze, che in quel giorno che offriremo a Maria la Prima Campana del Rosario in Pompei, la nostra tenerissima Madre non saprà negarci alcuna grazia.
E però per formare una santa lega di preghiere e strappare in quel giorno dal Cuore di Maria tutte le Grazie desiderate, si è pensato di formulare una preghiera comune, un “Atto di amore a Maria”, che ogni iscritto riceverà con il presente invito, affinché da tutti gli associati, anche più lontani, sia recitata, unendosi in spirito con coloro che si troveranno ai piedi di Maria in Pompei. Non sarà un novello Vespro di sangue, no, ma sarà un novello coro di pace, di perdono, di amor di Cielo, che tutti i figli di S. Domenico e tutti i figli del Rosario raccoglierà più stretti e più amorosi al seno della loro Madre comune.
(Bartolo Longo)
Con squisite espressioni che ripetono il lirismo dei solenni salmi biblici, B. Longo, nel programma delle feste del 1883, annunciava la sua novella preghiera alla Madonna. “Alleluia! O Fratelli: Leviamo oggi un cantico di festa. Cantiamo oggi più giuliva la dolce canzone di amore alla Vergine”.
È l’atto di amore alla SS. Vergine di Pompei, il cantico supplice da recitarsi il giorno 8 di maggio nell’ora di mezzodì. “Una preghiera comune, in Atto di Amore che raccogliesse quel popolo nascente (i primi pompeiani) sotto il vessillo di Maria e perciò pregasse di una stessa preghiera”.
In questi propositi affonda e prende vita la radice dell’Atto di Amore, la preghiera primigenia, il palinsesto, pressappoco il canovaccio della Supplica.
L’Atto di Amore traduceva la fiamma che divampa nel cuore di Bartolo Longo e che si alimentava nell’ardore di una fede che investiva e permeava tutto il suo essere. Nell’ora di mezzodì, oltre a dodicimila associati al Tempio di Pompei levarono unanimi la preghiera alla Vergine.
Era l’otto di maggio del 1883. Innumerevoli devoti, pur lontani, alla stessa ora, prostrati davanti all’immagine della Madonna, recitando la medesima Preghiera, si unirono al coro che Don Bartolo, con fervore acceso, aveva sollecitato intonando l’inno alla Vergine. Quell’Atto di Amore concepito e dettato come preghiera di contrizione, cantico di lode, invocazione supplice ricca di pietà profonda.
Dall’Unità Cattolica del 17 maggio 1883 n° 115, stralciamo solo un breve significativo passaggio della relazione stesa da B. Longo a commento della festa: “Ma la festa della prima campana, che ebbe luogo ieri l’altro, ha superato le nostre aspettative ed il più vivo entusiasmo che aveva già suscitato la semplice lettura del programma. Migliaia di eletti e generosi signori e dame della più alta nobiltà di Napoli e di altre città facevano risuonare il nascente Santuario delle loro preci, dei loro sospiri e dei gemiti del cuore ai piedi della Madre di Misericordia, che in quel giorno diffondeva dal suo vergineo sguardo chiarori di una insolita bellezza”.
Nostalgia devozionale e rigoroso rispetto per la storia ci inducono a ripubblicare il testo della felicissima preghiera che, sebbene sia stata effimera ed oggi obsolenta, resta l’unico documento indispensabile per conoscere i moventi e scoprire la radice da cui nacque la Supplica.
L’immenso fervore devozionale suscitato dall’Atto di Amore, sebbene recitato una sola volta l’otto di maggio del 1883, rese ardito B. Longo disponendolo ad accogliere con più efficacia l’ispirazione della Provvidenza.
In pochi giorni stese una novella preghiera destinata ad uscire dagli angusti confini paesani e composta perciò con l’intento di coinvolgere tutti i credenti sparsi nel mondo incitandoli alla devozione per la Vergine di Pompei. È questa la Supplica: l’inno di gloria alla Vergine, mistica invocazione, il magico cantico che commuove, sublime. (Nicola Avellino)
*La Festa dei Signori Forestieri - (Quarta Parte)